Circolo Scacchi G.Greco - Cecina

La guerra fredda di Bobby Fischer

Chess is war over the board. The object is to crush the opponent's mind (Bobby Fischer)

Gli scacchi sono come la boxe richiedono anticipazione, carattere e resistenza fisica. Sono una grande battaglia, e Robert James Fischer, probabilmente il più grande giocatore che sia mai esistito, nella sfida con Boris Spasskij questa battaglia l'ha combattuta su due fronti: il Campionato del mondo e la Guerra Fredda.

Gli Americani sono sempre stati battuti dai russi (Spasskij, Petrosian, Botvinnik, Smyslov?) almeno fino al 1972, quando Bobby Fischer batte il campione del mondo in carica Boris Spasskij. Non si tratta solamente di una sfida sportiva, ma anche e soprattutto di una sfida politica tra i due blocchi del mondo: quello occidentale-capitalista e quello orientale-comunista.

Nella storia degli scacchi dopo Fischer nulla è stato più come prima, con la sua genialità e le sue pretese (spesso esagerate, tanto da apparire folli) ha infatti introdotto il concetto di professionismo anche in questa disciplina. Secondo la Gran Maestra di scacchi Susan Polgar che lo ha ospitato durante l'esilio, Fischer 'ha cambiato la concezione stessa degli scacchi?. Con lui, ad esempio, si è diventati più rigidi: più rispetto del silenzio e delle luci durante le gare ma soprattutto aumento degli ingaggi. Per la super sfida del ?72 pretese un compenso di 250mila dollari, quando invece fino a quel momento ne venivano messi in palio massimo 5mila.

Ma Fischer è stato un genio (con un QI di 180) nel bene e nel male: la sua follia infatti lo ha portato a vivere in esilio, lontano da tutto e da tutti, e forse anche da se stesso.

Da ragazzino di Brooklyn a Mozart degli scacchi

I genitori di Bobby divorziano nel '45 quando il bambino ha solo due anni (nasce a Chicago nel '43); la sua infanzia la passa con la mamma, Regina Wender e con la sorella maggiore. Sarà proprio lei a regalargli la prima scacchiera quando nel '49 si trasferiscono a New York, Brooklyn. Inizialmente i due bambini ci giocano insieme, ma ben presto Bobby sente l'esigenza di confrontarsi con persone più adulte. Impara tutto da solo e si può dire che non ha avuto maestri ad eccezione di John Collins che con Bobby trascorre  moltissimo tempo, impersonando in parte anche la figura paterna.

Il  piccolo Bobby ha per gli scacchi un'autentica passione, l'unica, e per questo motivo il suo rendimento scolastico è modesto e non frequenta i suoi compagni. È un bambino estremamente solitario che mostra molte difficoltà nel rapportarsi con gli altri. I sintomi del suo carattere vengono alla luce molto presto, è un ragazzo (e poi un adulto) individualista, ossessivo, monomaniacale e anche asociale, così come testimoniano alcuni avversari che lo hanno incontrato. Il Gran Maestro di scacchi Marc Taimanov che da Fischer è stato battuto, racconta: «Una volta in Germania noi giocatori andammo a cena tutti insieme durante un torneo. Bobby era in forma, brillante e seduta accanto a lui c'era una bellissima ragazza, scacchista anche lei, che se lo mangiava con gli occhi. Così a fine cena mi avvicinai a lui e a quattrocchi gli dissi: 'Dai Bobby, invitala a ballare che lei non vede l'ora!' E lui: 'Non ci penso nemmeno, semmai ci gioco a scacchi'». Questa risposta tanto più colpisce  se messa in relazione con un'altra sua dichiarazione a proposito delle donne che giocano a scacchi: 'Sono tutte deboli, tutte. Sono stupide se paragonate agli uomini'».

Un altro Gran Maestro, Robert Byrne, racconta: «Durante un torneo c'era Yuri Gagarin, il famoso cosmonauta, e Bobby fece una scenata perché diceva che la sua stanza era meno bella di quella data a Gagarin; voleva a tutti i costi la sua stanza, ma ovviamente non ci riuscì e quindi lasciò l'albergo!».

Anche il Gran Maestro Yuri Averbakh ha ricordi analoghi: «Ricordo che una volta a Buenos Aires si stava tutti nello stesso albergo e la sera, come è ovvio, ci si incontrava alla reception per commentare le partite della giornata. C'erano tutti: i giocatori, gli arbitri, i tecnici, tutti tranne Fischer. L'ho anche visto un paio di volte che stava per uscire dall'ascensore e che vedendoci alla reception ha fatto subito retromarcia ed è tornato nella sua stanza...».

Ma se nei rapporti sociali è così carente, nel gioco non sbaglia mai una mossa e migliora di partita in partita, così come la sua fama, a dispetto della giovane età. Vincendo un match dietro l'altro riesce quindi a diventare Gran Maestro di scacchi e Campione degli Stati Uniti all'età di appena 14 anni. Per tutti è un 'giovane fenomeno', 'il piccolo Mozart degli scacchi'.

L'anno seguente, è il '59, durante il Torneo dei Candidati, Fischer si trova finalmente faccia a faccia con i giganti russi: non è ancora al loro livello ma conclude comunque il torneo con un ottimo 5° posto. In questi anni gli appassionati riconoscono immediatamente in lui la capacità di riuscire, di intuire sempre gli sviluppi del gioco e rimangono colpiti dalla limpidezza del suo gioco nonché dal suo stile impeccabile. Per questo motivo è stato definito oltre al Mozart anche il "Bach degli scacchi".

L'URSS, padrona delle scacchiere

A Elista, la capitale della Calmucchia, una delle 21 Repubbliche autonome della Federazione russa, gli scacchi sono una materia scolastica fin dalle elementari. A introdurre questa innovazione è stato il Presidente della Repubblica autonoma, Kirsan Iljouzhminov, che degli scacchi è un appassionato. Secondo lui, Campione juniores della Calmucchia, questo gioco 'migliora la capacità analitica, l'attenzione e quindi il rendimento scolastico complessivo dei ragazzi che imparano divertendosi'. E a questo proposito ha fatto costruire a spese proprie un sobborgo di Elista interamente dedicato agli scacchi, dove ogni via ha il nome di un pezzo, al centro del quale c?è il Palazzo degli scacchi, inaugurato nel 1998.

Via le statue di Lenin, quindi, e avanti con alfieri, torri e cavalli!

Tutto ciò non deve stupire se si pensa che l'Unione Sovietica fece degli scacchi lo sport nazionale! Se nel 1917, infatti, si contavano in tutta la Russia solo 300 scacchisti, nel '34 erano già più di 500mila. Questo per volere di Lenin, grande appassionato di questo gioco, che volle trasformarlo in uno sport di massa adatto a tutte le età e a tutte le classi sociali.

Come racconta Marc Taimanov: «Tre erano i pilastri della propaganda all'epoca: il circo, il balletto e gli scacchi. In questi tre rami non avevamo rivali e chiunque fosse impegnato in queste attività era considerato un ambasciatore dell'Unione Sovietica nel mondo. La vetrina del comunismo».

Quando nel febbraio del '45, a guerra finita, i 'grandi'della terra riuniti a Yalta per ridefinire l'assetto da dare al pianeta, dividono il mondo in due blocchi contrapposti, quello 'libero' e quello 'comunista', anche il gioco degli scacchi diviene un'arma di quella che sarà definita la Guerra Fredda.

Per gli scacchisti è vita dura!

Sul piano sportivo la prima svolta della Guerra Fredda avviene nel '48 quando la squadra russa di hockey su ghiaccio perde inaspettatamente contro il Canada: da questo momento Stalin decide che gli atleti devono andare all'estero solo per vincere. Ogni successo rappresenta infatti il simbolo della superiorità del sistema comunista su quello capitalista: ogni vittoria sportiva diventa quindi anche una vittoria politica. Di conseguenza gli sportivi vengono controllati da un apposito dipartimento costituito all'interno del partito che decide tutto: quali giocatori devono partecipare, a quali competizioni, quando, dove'Il diktat è: arrivare primi! E il secondo posto non è nemmeno contemplato.

L'URSS fa il suo ingresso ufficiale nelle competizioni internazionali alle Olimpiadi di Helsinki nel 1952: stupisce tutti con 22 ori, 30 argenti e 19 bronzi, ottenendo quindi il secondo posto nel medagliere generale subito dopo gli Stati Uniti. Inizia così la Guerra Fredda dello sport, avvincente e spietata, dove l'unica vera legge è vincere. Ma non sempre si può vincere, e gli stessi sovietici non hanno pietà per chi perde, così come racconta Marc Taimanov: «Ho vinto abbastanza e penso di aver dato molto lustro al mio Paese, eppure per una sola sconfitta sono stato linciato e la mia carriera per un certo tempo stroncata. Su quella partita ho scritto un libro 'Sono una vittima di Bobby Fischer?, in realtà avrei dovuto intitolarlo 'Sono una vittima dell'ideologia sovietica', ma come sapete a quei tempi queste cose non si potevano dire!».

Ma Marc Taimanov ebbe modo di avere a che fare con l'intolleranza sovietica anche qualche anno prima: «Ricordo che io e David Bronstein fummo invitati a Liverpool per i campionati studenteschi. Prima di partire ci convocarono al Cremlino dove ci dissero: 'State andando a rappresentare l'Unione Sovietica, e questo comporta per voi una grande responsabilità; sapete chi ha firmato la vostra missione' Il compagno Stalin in persona!' Noi eravamo giovanissimi, ci tremavano le gambe e a quel punto svenni e caddi dalla sedia! Quando tornammo in patria capii che tirava una brutta aria appena messo piede all'aeroporto di Mosca: in genere noi scacchisti eravamo rispettati e non ci tartassavano con i controlli, quella volta invece mi trattennero per più di un'ora. Mi sequestrarono tutta la valuta estera, e trovandomi in valigia un libro di Aleksandr Solgenitsin il doganiere mi disse: 'Compagno Taimanov, Lei si è ficcato in un grosso guaio: se avesse vinto Lei poteva tornare con tutta la bibliografia di Solgenitsin, avrei chiuso un occhio, ma purtroppo ha perso e io non posso aiutarla. Devo denunciarla'».

La corsa verso il titolo

Nel dopoguerra gli scacchisti campioni del mondo sono tutti sovietici:

Mikhail Botvinnik

Vasilij Smyslov

Mikhail Tal

Tigran Petrosian

Boris Spasskij

Tutti sovietici tranne uno, Bobby Fischer, che battendo proprio Taimanov nel 1971 provoca uno scossone nella gerarchia consolidata degli scacchi, così come racconta lo stesso Taimanov: «Al dipartimento dello sport mi fecero un processo sommario: 'Come è possibile che un grande maestro della scuola sovietica si faccia battere 6 a 0 da un moccioso di Brooklyn??. Poi nel corso di quello stesso anno Fischer riuscì a battere Bent Larsen, Tigran Petrosian e tutti gli altri pretendenti al titolo mondiale. E allora quegli stessi funzionari si resero conto che quel moccioso di Brooklyn era invincibile».

Nel 1971 Fischer ha quindi finalmente ottenuto il diritto di sfidare il Campione del Mondo (da ben 4 anni), Boris Spasskij.

Fischer vs Spasskij, la sfida del secolo

La partita viene giocata a Reykjavik, in Islanda, dal luglio al settembre del 1972: è la partita del secolo e viene seguita da tutto il mondo con grande entusiasmo. In Russia in particolare è vissuta come un vero e proprio affare di Stato: vengono infatti chiamati tutti i migliori scacchisti sovietici per avere un rapporto dettagliato sul gioco dello statunitense e sulle sue debolezze (anche psicologiche), per studiare il modo di batterlo. Spasskij viene supportato in tutti i modi, da una dieta 'ad alto contenuto calorico e della migliore qualità? - come si legge nel Memoriale del Comitato dello Sport - a 'un nuovo appartamento di 4 stanze'.

In Italia la telecronaca è di Bruno Pizzul; inizia la prima partita: 'Fischer è molto nervoso, Spasskij fa un gioco prudente. Fischer non ci sta e cerca di stanarlo sacrificando l'alfiere, ma alla quarantesima mossa fa un errore decisivo, imperdonabile e perde. 1 a 0 per Spasskij, dunque'.

Alla seconda partita Fischer dà forfait: prima chiede l'allontanamento delle telecamere, poi di giocare a porte chiuse e infine decide di non giocare. Spasskij dunque vince a tavolino: 2 a 0.

A questo punto Henry Kissinger in persona chiama Bobby per convincerlo a giocare: 'Lascia perdere le richieste di soldi e le richieste tecniche che hai fatto, e comportati da vero patriota: vai e vinci', gli dice. Kissinger si riferisce ai "capricci" di Fischer che vanno dal compenso di 250mila dollari ad altre stranezze, prima fra tutte la pretesa di avere una particolare sedia di cuoio, reclinabile e girevole. Sedia che fa smontare prima della partita per verificare che non contenga elementi che avrebbero potuto disturbarlo. Dopo mille polemiche l'arbitro gli concede anche questa richiesta: la sedia viene smontata, ma al suo interno vengono trovate solamente tre mosche!

Questa non è l'unica stranezza: durante la prima partita se la prende con il rumore, in particolare con quello creato dai bambini mentre scartano le caramelle, e non vuole nemmeno che le donne entrino con i tacchi, così come non vuole che i cameramen si avvicinino a lui: gli dà troppo fastidio il ronzio delle cassette. Fischer è molto sensibile ai rumori, così come racconta il Gran Maestro americano Robert Byrne: «Non scorderò mai quando una volta in albergo venne nella mia camera e disse: 'Non trovi terribile che in un albergo ci siano così tanti ascensori' Fanno un rumore terribile!' Non ci avevo mai fatto caso, ma quella notte non riuscii a dormire!!».

Kissinger comunque convince Fischer e questi al 6° incontro rimonta (3 a 2) mettendo alle corde il suo avversario in sole 41 mosse. Si riapre dunque il match e Bobby per festeggiare salta sul palco e si mette a ballare tra gli applausi della gente. Da questo momento la partita prende una nuova piega e il 1 settembre l'arbitro alza il braccio di Bobby Fischer per proclamarlo nuovo Campione del mondo.

I due campioni hanno giocato 21 partite in 55 giorni, e Bobby ha riportato 3 sconfitte, 11 pareggi e ben 7 vittorie. Un vero trionfo e per gli Americani un 'trionfo a stelle e strisce'.

L'equilibrio tra le due super potenze viene però ristabilito quello stesso anno quando, alle Olimpiadi di Monaco, la squadra sovietica di basket riesce a battere per la prima volta nella storia gli Stati Uniti in una finale tesissima!

La difesa del titolo

Ma la vittoria di Fischer rimane comunque una vittoria importantissima, l'unico a non approfittare di questo momento magico però è proprio Fischer che si rinchiude in se stesso allontanandosi per ben 20 anni dalle competizioni. In questo periodo non concede nessuna intervista e si barrica in casa come un recluso. I media diventano la sua bestia nera, in particolar modo i settimanali popolari che a suo giudizio sono interessati non tanto ai fatti quanto agli aspetti del suo personaggio che si potevano spettacolarizzare.

Gli elementi caratteriali che lo avevano sempre distinto si fanno più netti: non sa né mentire, né tanto meno scendere a compromessi, come racconta Bachar Kouatly, il direttore dell'Europe Echecs: «Vi racconto un aneddoto: subito dopo la vittoria di Reykjavik, una marca di latte chiese a Fischer la sua disponibilità per una grossa campagna pubblicitaria, gli offrirono 2 milioni di dollari, e stiamo parlando del 1972! Oggi tutti accetterebbero, e invece la sua risposta fu: 'Mi dispiace ma non posso, io non bevo questa marca di latte!'».

C'è chi gli diagnostica una strana sindrome che colpisce proprio i campioni: la sindrome da vittoria. Secondo questa sindrome il campione sente di non poter permettersi di perdere e inizia quindi ad aver paura di se stesso. Nel 1975 giunge comunque il momento di difendere il titolo contro Anatolij Karpov. Fischer non ha giocato una sola partita ufficiale dal '72 e chiede delle condizioni vincolanti per giocare il match, tra cui un compenso di 5 milioni di dollari. Ma la FIDE (la Federazione Internazionale degli Scacchi) non accetta e così Fischer, che come sempre non sa scendere a compromessi, si rifiuta di difendere il titolo e lo perde.

L'esilio

Dopo 20 anni di silenzio, nel 1992 Bobby Fischer ricompare improvvisamente sulle scene per concedere la rivincita a Spasskij (ormai piazzato al 96-102 posto della classifica mondiale). L'incontro si svolge a Budva, una città della Jugoslavia sottoposta a un duro embargo da parte dell'ONU. Proprio a causa di questo embargo il Dipartimento di Stato Americano manda un comunicato a Fischer in cui gli ingiunge di non giocare, pena 1 milione di dollari di multa e 12 anni di carcere.

Ma durante la conferenza stampa che annuncia la partita, Fischer tira fuori questo documento e ci sputa sopra in diretta televisiva. Il suo messaggio è chiaro. La partita quindi viene giocata e Fischer vince nuovamente, ma per molti è un triste show: i due scacchisti infatti non sono affatto più quelli di una volta e inoltre si ha il sospetto che l'Americano abbia giocato solamente per soldi e che la Jugoslavia lo volesse per fare un dispetto simbolico agli Americani.

Dopo il match Fischer non può tornare negli Stati Uniti: si nasconde in diversi Paesi, per poi approdare in Giappone dove viene trattato con grande rispetto.

Ma il 13 luglio del 2004 viene arrestato all'aeroporto Narita di Tokyo dalle autorità nipponiche, per conto degli Stati Uniti (ufficialmente per un passaporto irregolare). Fa scalpore vederlo in Tv dopo 15 anni così trasformato: sembra un barbone acciaccato.

Gli USA ne chiedono subito l'estradizione, anche perché dopo il match del '92 Fischer ha continuato ad accusare l'America e le sue Istituzioni diverse volte, arrivando addirittura a giustificare l'orrore dell'11 settembre come 'una giusta punizione divina'. Per difenderlo scende in campo anche Boris Spasskij: i due storici rivali hanno infatti scoperto di avere molte cose in comune, prima tra tutte il fatto di essere dei dissidenti.

Il russo scrive quindi al Presidente degli Stati Uniti per chiedere clemenza, ma non la ottiene.

Molte nazioni offrono asilo a Fischer, prima tra tutte la Calmucchia del Presidente Kirsan Iljouzhminov, ma alla fine Bobby opta per l'Islanda, Paese che ha sempre adorato gli scacchi e che Fischer ha sempre amato.

La morte

Ed è proprio qui, e precisamente a Reykjavík, la città che lo ha incoronato Campione del mondo nel '72, che muore improvvisamente il 17 Gennaio del 2008